martedì 28 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street - And the beat goes on

And the beat goes on per ben tre ore. Tre ore che qualcuno potrebbe definire eccessive e che invece solo lui poteva girare così: per fortuna che Scorsese c'è!



Spiegatemi per favore le polemiche e il fiume di parole che sono state scritte sulla presunta amoralità di questo film, del suo regista e di Leonardo DiCaprio. Il Time si chiede se a
l di là della qualità del film, The Wolf of Wall street sia una critica o una celebrazione dello stile di vita di Jordan Belfort, "un uomo che non ha rispetto di niente tranne che per il denaro". Qualunque spettatore dotato di un minimo di spirito critico si accorge benissimo che la condiscendenza nel raccontare e giudicare di Scorsese è solo apparente. Sotto, e nemmeno troppo a fondo, si nasconde la storia di un uomo schiavo delle proprie nevrosi e delle proprie debolezze e non c'è nessun bisogno di puntare il dito e condannarlo moralmente. Non c’è nessuna celebrazione, anzi quel mondo viene palesemente ritratto in tutti i suoi eccessi: cocaina, orge, Ferrari e Lamborghini bianche, yatch, lancio di nani e puttane.

Detto questo, secondo me il film è davvero godibile, è Scorsese allo stato puro, quello di Godfellas e Casinò per intenderci. Il parallelismo con Quei bravi ragazzi è fin troppo evidente, a cominciare dalla voce off di Belford/DiCaprio che racconta la parabola professionale e personale del broker, proprio come faceva Henry Hill/Ray Liotta ricordando i suoi esordi criminali. Molto simili sono anche le tappe che segnano il cammino dei due: la formazione, i capi/mentori, la famiglia e i compagni di viaggio, l'ascesa rapidissima e il declino. 

Il mentore di Di Caprio è uno strepitoso e magrissimo Matthew Mcconaughey, reduce dalle riprese di Dallas Buyers Club. Personalmente l'ho sempre ritenuto un attore inutile e invece qui mi ha stupito perché ti rimane super impresso nonostante il suo sia un ruolo minuscolo, starà in scena a dir tanto 5 minuti. 

La vera famiglia di Belford è composta dal padre, che inizia presto a collaborare con la società fondata dal figlio forse senza rendersi conto che si tratta di una banda di truffatori e la madre che vediamo solo di sfuggita. Padre e madre sono gli unici personaggi "positivi" del film e ricordano tantissimo i veri genitori di Scorsese, ripresi abilmente dal regista in quel bellissimo documentario che è Italoamericani (1974).

Ma la famiglia sono anche gli amici, o meglio i soci in affari, un gruppo di cialtroni il cui unico scopo è quello di fottere i clienti e fare una montagna di soldi da poter poi buttare via. Tra tutti svetta l'amico Donnie Hill, interpretato dal fantastico Jonah Hill, esilarante nella scena in cui, per distruggere la volontà di un impiegato, si mangia il suo pesce rosso. Sarà una citazione di Kevin Kline in Un pesce di nome Wanda?(Beh a me comunque ha strappato un applauso in sala). E poi c’è Jon Berthal, il Shane di The Walking Dead, spettacolare qui in versione ancora più tamarra.
Perfetti anche Jean Dujardin (The Artist) nel ruolo del banchiere svizzero e Margot Robbie nel ruolo della moglie Barbie.

The Wolf è la lunga soggettiva colpevole, drogata e famelica di Jordan Belfort. È come una grande abbuffata caratterizzata dalla sua bulimia e dal suo desiderio di toccare tette a caso, sniffare qualsiasi tipo di droga e guadagnare soldi. Ed è un DiCaprio immenso, veramente da Oscar a sto giro. 

Una carrellata di eccessi, di personaggi che sembrano usciti da Porky's. Si passa da Bob Clarke per arrivare fino a Carl Theodor Dyrer, insomma dal profano al sacro. "Ti do 10000 dollari se ti fai rasare a zero", è quanto viene proposto a una delle segretarie, trasformandola così in una moderna e grottesca Giovanna D'arco. 
E per finire come dimenticare la scena del salvataggio da parte degli italiani, che accolgono i naufraghi con vino rosso e le note di Gloria di Umberto Tozzi, talmente trash da essere geniale!



Quindi: PARTY TILL YOU PUKE

giovedì 23 gennaio 2014

American Hustle - Get into the groove

OK, sono di parte. Subisco troppo il fascino degli anni '70 e ammetto di aver goduto dal primo all'ultimo minuto. Anzi, mi sbilancio, posso tranquillamente affermare che gli abiti sfoggiati da Amy Adams valgono il prezzo del biglietto. E ovviamente Jennifer Lawrence che canta Live and Let Die indossando guanti da cucina gialli!


Ma forse a voi non basta. Eccovi dunque qualche motivo per andarlo a vedere, se ancora non l'avete fatto.

È sicuramente il miglior film di David O. Russel, che già ci aveva stupito con Il lato positivo (ma non abbastanza da convincere la sottoscritta) e che qui firma a mio avviso la sua opera più riuscita. Il regista torna a parlare di individui che sono alla ricerca di un modo di cambiare e reinventare le proprie vite. E lo fa in modo scoppiettante, avvalendosi di un cast stellare e mettendo mano in modo abile alla sceneggiatura, che è tra l'altro ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto. Una clamorosa operazione dell'FBI che incastrò alcuni membri del congresso avvalendosi dell'aiuto di una coppia di truffatori. 
Efficace il modo in cui il poliziesco sfocia nel grottesco, ottima la tensione che nasce dalle truffe che si nascondono l'una dentro l'altra. Geniale l'uso quasi esagerato di costumi d'epoca e parrucche che potrebbero risultare ridicoli ed eccessivi, ma che invece ci convincono in pieno, grazie anche al fatto che gli attori si mettono completamente al servizio dei personaggi, anche a costo di mascherarsi e rendersi consapevolmente ridicoli. Come non citare l'improbabile acconciatura di Bradley Cooper o l'ennesima trasformazione di Christian Bale, quasi irriconoscibile all'inizio del film.

Unica pecca del film è forse l'eccessiva lunghezza, soprattutto nella prima parte si poteva forse asciugare qui e là, ma nel complesso regge e diverte.

Quindi: ENJOY IT




mercoledì 22 gennaio 2014

Nebraska - Under your skin

Nebraska è uno di quei film che ti entrano dentro e che ci vuole un po' per metabolizzarli.
È come una canzone che ti piace al primo ascolto, ma che poi devi riascoltare ancora per poterla apprezzare completamente. 



Premiato a Cannes e candidato a sei premi Oscar, tra cui quello come miglior regia, esce nelle sale l’ultimo film di Alexander Payne. Il regista torna a parlare di un tema raramente trattato al cinema, perché ritenuto poco interessante e poco redditizio: quello dell’anzianità. E lo fa scegliendo di raccontare un viaggio on the road, girato in un bianco e nero coraggioso che nulla toglie alla bellezza dei paesaggi del Nebraska.

La trama di Nebraska è semplicissima: il vecchio Woody Grant, alcolizzato, smemorato e un po’ burbero crede di aver vinto un milione di dollari e decide quindi di partire per Lincoln per andare a riscuotere il suo premio. Inizia così il viaggio, che vede padre e figlio attraversare le strade e i campi del Nebraska. In fondo il film è tutto qui, succede davvero poco, eppure succede tantissimo a livello emotivo. Il viaggio diventa ovviamente un modo per esplorare il rapporto tra i due, e pian piano emergono limiti e debolezze di entrambi. Questa avventura permette al figlio, che ha deciso di assecondare la follia dell’anziano genitore, di capire qualcosa di più della figura paterna. Non bisogna però aspettarsi grandi rivelazioni, e forse il bello è proprio questo. 

Il film richiama subito alla memoria Una storia vera di David Lynch, road movie che racconta di un altro vecchio, molto simile nella sua testardaggine al protagonista di Nebraska, che decide di intraprendere un viaggio alquanto improbabile a bordo di un tagliaerba per raggiungere il fratello. 

Lineare, semplice e diretto. Va a colpire proprio lì dove deve colpire. Il regista usa un tono leggero, a tratti ironico e non scade mai nel dramma. Insomma: non è alla ricerca della lacrima facile (e per fortuna!)

Per me il film sta tutto in quel breve istante in cui Woody finalmente guarda il proprio figlio, in quello sguardo che comunica più di mille parole e che ti rimane addosso anche quando esci dalla sala. Meraviglioso Bruce Dern. Davvero.

Quindi: AMATELO.