lunedì 17 febbraio 2014

Dallas Buyers Club - Madama Butterfly

Con un po' di ritardo ho finalmente visto Dallas Buyers Club, l'attesissimo film del canadese Jean-Marc Vallée. Attesissimo soprattutto per l'interpretazione di Matthew McConaughey, che per calarsi nei panni del malato di AIDS ha perso ben 22 chili. È risaputo che queste operazioni a Hollywood piacciono molto e infatti già si parla di Oscar come miglior attore protagonista. 




Ispirata a una storia vera, questa sceneggiatura a Hollywood ha girato 15 anni prima che se ne riuscisse a trarre un film. Racconta la storia di Ron Woodrof - elettricista texano la cui vita si divide tra rodeo, donne, alcol e droga - che in seguito a un malore scopre di aver contratto il virus dell'HIV. Siamo nel 1985, anno in cui moriva Rock Hudson, e l'AIDS era ancora considerata la malattia degli omosessuali. 

Qui inizia la personale battaglia di Ron contro la morte, i pregiudizi e le industrie farmaceutiche. Inizia anche la trasformazione di Ron, non solo a livello fisico ma in particolar modo a livello personale. Da cowboy omofobo a difensore dei gay e migliore amico di un transessuale. Trasformazione a mio avviso un po' scontata e sicuramente già vista, ma sempre efficace e coinvolgente. In realtà Ron Woodrof era molto diverso dal personaggio descritto nel film: molto più tollerante e forse addirittura bisessuale.  Quella di discostarsi dalla realtà dei fatti è stata una mossa molto astuta, necessaria per creare la parabola dell'uomo che si riscatta attraverso la malattia. Del resto, come scrive il critico di Libération: "è abbastanza tipico di Hollywood trasformare in sole due ore un imbecille disonesto in un eroe"!

Tutto la vicenda ruota attorno a Matthew McConaughey, davvero bravo e convincente, ma ancora più stupefacente è Jared Leto - anche lui dimagritissimo - nei panni del transessuale sieropositivo Rayon. Delicato e al tempo stesso ironico, Rayon è forse il personaggio che rimane più impresso ed è un peccato che abbia un ruolo così piccolo. Molto meno coinvolgete Jennifer Gardner, nel ruolo della dottoressa che gradualmente si appassiona alla causa di Woodrof. 

Nonostante alcuni momenti di stanca e un paio di inserti dissonanti - la dottoressa che sfonda la parete cercando di attaccare il quadro oppure la scena delle farfalle in cui si raggiunge un livello di lirismo e di poesia fin troppo elevato che finisce con lo stonare - Dallas Buyers Club ha il pregio di non cadere in facili sentimentalismi e nel patetico. Un viaggio interessante, ma molto convenzionale, che descrive il dolore e soprattutto la capacità di reagire dell'essere umano. Con questo film il regista di C.R.A.Z.Y (piccolo gioiellino, vedetelo se vi capita!) dimostra di essere molto maturato, però non convince ancora del tutto. 
Buono il doppiaggio, anche se, come potete vedere dal trailer originale, nella versione italiana si perde la godibilissima parlata texana di Ron.



Quindi: STARVE TILL YOU WIN (an Oscar)



martedì 11 febbraio 2014

A proposito di Davis - Who let the cat out

"Se non l'avete mai sentita, ma non sembra nuova, allora è una canzone folk". Se come me siete cresciuti ascoltando i vecchi dischi di Bob Dylan della mamma, allora questo è il film che fa per voi: perché il fantasma di Dylan ci accompagna silenzioso - ma mai invadente - per tutto il film, nascosto tra i fotogrammi. Fino alla chiusa finale, vero tocco di classe.







Finita la proiezione, ho sentito un ragazzo che infastidito rispondeva alla fidanzata: "Come fa a piacerti, è un film senza trama". In effetti non c'è una vera e propria trama in questo film, ma non è necessaria. I Coen possono questo e altro.
Liberamente tratto dalla biografia di Dave Van Ronk, "The Mayor of MacDougal", il film racconta in perfetto stile Coen le avventure e le disavventure di Llewyn Davis, giovane cantante folk squattrinato, che vaga con la sua chitarra, senza cappotto, senza una meta precisa, nella New York dei primi anni '60. Interpretato da Oscar Isaac, davvero perfetto per il ruolo, Llewyn Davis è un solitario, dorme sul divano di chi capita, si esibisce per due soldi dove e quando capita, sembra suonare più per sé stesso che per gli altri. Cerca il successo, ma forse non ci crede troppo e soprattutto non è disposto a scendere a compromessi. Del resto con certa musica non si possono fare soldi.
Suo compagno di viaggio, un bel gatto rosso dal nome simbolico: Ulisse (è forse un omaggio all'Ulysses Everett McGill di Fratello dove sei?). Il gatto, che per stessa ammissione di Joel Coen è stato aggiunto proprio perché il film non ha una storia, è co-protagonista e al tempo stesso alter ego di Davis. È incarnazione di libertà e indipendenza, quella libertà a cui non riesce a rinunciare, non volendosi adeguare al trend musicale o all'unione con qualcun altro. Unione per lui impossibile, dopo la morte dell'ex partner. Non a caso i gatti del film sono due. Uno, come l'Ulisse omerico farà ritorno a casa, mentre l'altro, quello sfortunato, quello senza nome, finirà ferito e zoppicante come del resto finisce Llewyn. 
Il gatto abbandonato e poi cercato disperatamente sembra essere un omaggio al gatto di Colazione da Tiffany. Ma anche le finestre che danno sulle scale antincendio e i vicoli ricordano il film di Blake Edwards, girato proprio nel 1961.
Nella sua Odissea personale, Llewyn si trova a intraprendere un viaggio verso Chicago, nella speranza di farsi sentire dal leggendario produttore Bud Grossman. Un viaggio on the road claustrofobico e grottesco, in compagnia del musicista jazz eroinomane Roland Turner (uno straordinario e a tratti wellessiano John Goodman) e dal suo valletto taciturno. 

Questo film è anche un breve viaggio all'interno della scena musicale che caratterizzava il Greenwich Village di New York prima che Dylan facesse la sua apparizione. È un omaggio che i Coen decidono di fare a un periodo musicale da loro molto amato. 
Coraggiosa e ammirevole la scelta di lasciare tutte le performance nella loro interezza, il che vuol dire anche diversi minuti consecutivi di canzone, cosa a cui forse non siamo molto abituati ma che ci permette di calarci completamente nel mood del film. Oltretutto il suono è registrato in presa diretta, a partire dalla bellissima "Hang me, Oh Hang me". Gli attori cantano tutti con le loro voci, dalla bravissima Carey Mullingan - che aveva già dato prova delle sue doti canore in Shame con la splendida esecuzione di "New York, New York" - a Justin Timberlake, che interpreta la versione di sé stesso degli anni '60. Questo film segna anche la quarta collaborazione tra i Coen e lo storico produttore T Bone Burnett (premio Oscar per Crazy Heart), mentre Marcus Mumford è produttore musicale associato. 
Va da sé che la colonna sonora è meravigliosa, e un motivo in più per comprarla è la presenza della versione inedita di "Farewell" di Bob Dylan, registrata durante le sessioni di The Times They Are A-Changing. Sì, lo so che comprare cd non è più di moda...


Quindi: FARE THEE WELL MY HONEY